L’equo compenso entra nel codice deontologico

L’equo compenso entra nel codice deontologico

Gli avvocati possono incorrere in sanzioni in caso di violazione delle norme sull’equo compenso

 

La violazione dell’equo compenso da parte del professionista è stata recentemente introdotta e sanzionata nel Codice Deontologico Forense; è stato infatti introdotto nel codice  l’art. 25 bis che testualmente prevede: “L’avvocato non può concordare o preventivare un compenso che, ai sensi e per gli effetti delle vigenti disposizioni in materia di equo compenso, non sia giusto, equo e proporzionato alla prestazione professionale richiesta e non sia determinato in applicazione di parametri forensi vigenti.

Nei casi in cui la convenzione, il contratto, o qualsiasi diversa forma di accordo con il cliente cui si applica la normativa in materia di equo compenso siano predisposti esclusivamente dall’avvocato, questi ha l’obbligo di avvertire, per iscritto, il cliente che il compenso per la prestazione professionale deve rispettare in ogni caso, pena la nullità della pattuizione, i criteri stabiliti dalle disposizioni vigenti in materia.

La violazione del divieto di cui al primo comma comporta l’applicazione della sanzione disciplinare della censura. La violazione dell’obbligo di cui al secondo comma comporta l’applicazione della sanzione disciplinare dell’avvertimento” 

Era ampiamente prevedibile che, una volta riformata la disciplina sull’equo compenso (così come abbiamo avuto modo di approfondire negli articoli precedenti) il Codice Deontologico si sarebbe adeguato, prevedendo delle sanzioni (come vedremo differenti, a seconda del tipo di violazione commessa) a carico dell’avvocato inadempiente, così come imposto dalla normativa stessa.

Chiaramente le sanzioni comminabili al professionista sono  piuttosto leggere, e non poteva essere altrimenti.

E’ infatti evidente che l’avvocato che si trovi ad avere a che fare con un contraente forte (enti pubblici, banche, assicurazioni)  del quale deve frequentemente subire le richieste vessatorie di applicazione di compensi spesso vili, non possa (o meglio, non debba) essere ulteriormente penalizzato, con l’applicazione di sanzioni deontologiche pesanti.

Nella fattispecie, quando il legale si troverà a dover subire contratti di conferimento di incarico direttamente stilati dalla committente, con la previsione di condizioni economiche “capestro” la sanzione sarà la censura.

Verrà invece applicata la sanzione più lieve dell’avvertimento nel caso (per la verità molto meno frequente, nei fatti) in cui sia il professionista a predisporre il contratto senza fare cenno alla normativa sull’equo compenso, in maniera da non informare adeguatamente il contraente forte delle conseguenze connesse alla violazione della suddetta normativa.

Per la verità, a parere di chi scrive, il CNF avrebbe dovuto ribaltare la comminazione delle sanzioni, posto che nel primo caso previsto dalla norma citata il professionista si trova a dover subire la pattuizione dei compensi da parte dell’altro contrante, mentre nella seconda fattispecie vi è più autonomia (e quindi maggiore possibilità di intervento) a favore del professionista.

Una cosa è certa: non può che auspicarsi che certe pratiche tristemente diffuse abbiano a cessare con la piena applicazione della nuova normativa

G.D.

 

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