LA TESTIMONIANZA DELL’AVVOCATO: UN NUOVO ORIZZONTE EUROPEO

LA TESTIMONIANZA DELL’AVVOCATO: UN NUOVO ORIZZONTE EUROPEO

Una recentissima pronuncia resa nello scorso novembre dalla Corte di Strasburgo apre uno scenario del tutto nuovo in riferimento all’ammissibilità ed ai relativi limiti della testimonianza dell’avvocato in giudizio.

La vicenda riguarda un collega tedesco che si era rifiutato di deporre come teste in una vertenza penale in cui era coinvolta una società per la quale l’avvocato – testimone aveva svolto attività di consulenza.

Il legale si era rifiutato di deporre invocando l’applicabilità dell’art. 8 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo, che testualmente recita: “Ogni persona ha diritto al rispetto della propria vita privata e familiare, del proprio domicilio e della propria corrispondenza.

Non può esservi ingerenza di una autorità pubblica nell’esercizio di tale diritto a meno che tale ingerenza sia prevista dalla legge e costituisca una misura che, in una società democratica, è necessaria alla sicurezza nazionale, alla pubblica sicurezza, al benessere economico del paese, alla difesa dell’ordine e alla prevenzione dei reati, alla protezione della salute e della morale, o alla protezione dei diritti e delle libertà altrui.”

Da notare che, nel caso specifico, il direttore dell’azienda per la quale il legale aveva prestato la propria consulenza ed era ora chiamato a rendere testimonianza, aveva espressamente rinunciato alla tutela della confidenzialità richiamata dall’art. 8 CEDU.

Altrettanto non avevano però fatto gli ex dirigenti dell’azienda; da qui il rifiuto alla testimonianza da parte del legale.

Orbene, la Corte di Strasburgo ha ritenuto illegittimo il rifiuto alla testimonianza, condannando il malcapitato professionista anche al pagamento di un’ammenda.

La Corte, pur ribadendo la “sacralità” del diritto alla riservatezza stabilito dalla CEDU, riservatezza che deve essere estesa anche allo svolgimento delle attività professionali, ha altresì sancito che l’autorità nazionale può ingerirsi nella riservatezza del cittadino (sia esso persona fisica, professionista o azienda) qualora vi siano in gioco bisogni sociali imperativi, quali quelli previsti (per la verità in maniera sin troppo generica) dal secondo comma del citato art. 8 CEDU.

Le locuzioni usate dal comma in oggetto sono giocoforza generiche (come si conviene ad una norma generale), ma lasciano ampio adito a perplessità e dubbi interpretativi.

Cosa si deve intender, infatti, per “benessere economico del paese” o, più ancora, per “protezione della morale”?

Non si vuole in questa sede certamente censurare la decisione della Corte (che nel caso specifico, evidentemente, ha ritenuto di poter bilanciare il rapporto tra diritto alla riservatezza e prevenzione dei reati, sanzionando il rifiuto dell’avvocato alla testimonianza) ma certamente i dubbi rimangono ed impongono di trattare la materia con molta delicatezza e, ci si consenta, flessibilità di giudizio.

Ed in Italia come è regolata la testimonianza dell’avvocato?

L’art. 51 del Codice Deontologico Forense ha disciplinato la fattispecie, stabilendo che “L’avvocato deve astenersi, salvo casi eccezionali, dal deporre come perosna informata sui fatti o come testimone su circostanze apprese nell’esercizio della propria attività professionale e ad essa inerenti.

L’avvocato deve comunque astenersi dal deporre sul contenuto di quanto appreso nel corso di colloqui riservati con colleghi, nonché sul contenuto della corrispondenza riservata intercorsa con questi ultimi.

Qualora l’avvocato intenda presentarsi come testimone o persona informata sui fatti non deve assumere il mandato e, se lo ha assunto, deve rinunciarvi e non può riassumerlo”.

La norma risponde all’esigenza di evitare che gli avvocati possano essere obbligati a deporre su quanto hanno conosciuto in ragione della loro professione. Il divieto di testimoniare per gli avvocati è presente poi sia nei processi civili, in base all’articolo 249 c.p.c., che in quelli penali, in ragione dell’art. 200, comma 1, c.p.p.

Pertanto, il legislatore ha voluto richiamare, a più riprese, l’avvocato a quel dovere di segretezza e di riservatezza che deve caratterizzare tutte le professioni intellettuali, in particolare quella legale.

Ci si consenta di chiudere questa breve disamina con una semplice considerazione: l’astensione dalla testimonianza concessa all’avvocato non deve essere vista come un oscuro retaggio a tutela della “casta” ma, semmai, come un importante baluardo al libero esercizio della professione, che deve sempre costituire il principio fondante dell’attività forense.

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